Elaborato di Stefania Cavazza
Più di un milione di morti ogni anno per una patologia potenzialmente prevenibile: la cirrosi epatica. Il 35-40 % dei pazienti cirrotici sviluppa encefalopatia epatica conclamata, una complicanza disabilitante per il malato ed i familiari.
Più di un milione di morti ogni anno per cirrosi epatica nel mondo, quasi la metà dei quali (48%) dovuti all’abuso di alcol secondo il Global Burden of Disease Study (Lancet) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
In Italia sono circa 200 000 le persone che convivono oggi con una cirrosi epatica. Circa il 40% di queste presenta encefalopatia epatica conclamata, ma la percentuale può salire al 70% se si considerano anche i casi “lievi”. Tuttavia, anche in questi ultimi la presenza di encefalopatia può influire molto negativamente sia sulla qualità di vita che sulla sopravvivenza.
Secondo un recente studio pubblicato sull’European Journal of Internal Medicine la causa principale di cirrosi nel nostro paese è l’infezione cronica da virus dell’epatite C (58,6% dei casi), seguita dall’infezione cronica da virus dell’epatite B (17,6%), dall’eccessivo consumo di alcolici (16%) e dalla steatoepatite non alcolica, evoluzione della malattia da fegato grasso (7,3%). I restanti casi sono dovuti a malattie del fegato che più raramente portano a cirrosi, come l’epatite autoimmune, la cirrosi biliare primitiva, l’emocromatosi o la malattia di Wilson.
Fortunatamente l’infezione cronica da virus C, contro il quale non esiste un vaccino, ha subito un duro colpo dopo l’introduzione di nuovi farmaci chiamati antivirali diretti (DAA), che portano a guarigione in oltre il 95% dei casi. Ci si aspetta quindi che in futuro le cirrosi dovute a questo patogeno (che si trasmette con il sangue infetto) calino drasticamente. Tuttavia, stiamo ancora scontando le conseguenze di infezioni contratte venti o trenta anni fa (tanto è il tempo che può trascorrere tra il momento dell’infezione e quello in cui si sviluppa la cirrosi), quando le norme igienico sanitarie negli ambulatori, anche odontoiatrici, negli ospedali o semplicemente nei negozi da barbiere, non erano così stringenti e non imponevano l’utilizzo di materiale monouso (ad esempio le siringhe). Purtroppo, come fonte di contagio da virus dell’epatite C, rimane la piaga dell’utilizzo endovenoso di droghe con lo scambio di materiale infetto. Basti pensare che secondo il recente Rapporto dell’Osservatorio Europeo sulle droghe e le tossicodipendenze (OEDT 2018) in Italia nel 2015 si contavano ancora 205 200 utilizzatori di eroina.
In futuro “con i nuovi farmaci che debelleranno l’epatite C, la prima causa di malattia e di mortalità per quanto riguarda l’epatologia saranno le problematiche alcol correlate” – spiega il Dott.Testino responsabiledella Struttura Complessa di Alcologia e Patologie Correlate dell’ASL 3 Liguria. Nonostante, infatti, nel nostro paese la consapevolezza sembri aumentata, con un calo dei consumatori di alcolici “a rischio” che sono passati dal 21,3% del 2007 al 15.9% della popolazione nel 2016 secondo i dati del Sistema Italiano di Monitoraggio alcol dell’Istituto Superiore di Sanità ,rimangono tuttavia 8,6 milioni di persone che assumono alcolici in quantità pericolose per la propria salute, 1,5 milioni dei quali di età compresa tra gli 11 ed i 25 anni. “Addirittura il 15% dei ragazzi tra gli 11 ed i 13 anni consuma alcolici e, nella fascia d’età fino ai 17 anni in cui vi sarebbe il divieto al consumo ed alla vendita, il consumo supera il 50%”-continua il Dott. Testino- “ma ciò che veramente ci preoccupa è che una percentuale importante, circa il 20%, sotto i 18 anni, utilizzano l’alcol con la modalità del binge drinking, cioè si beve molto nel fine settimana, e questo causa danni enormi non solo al fegato ma anche al cervello, ai testicoli nei maschi e alla mammella nelle femmine”.
Oltre all’alcol, tra le cause di cirrosi epatica che ancora non sembrano dare tregua a livello mondiale, nonostante l’introduzione del vaccino obbligatoria in molti paesi dagli anni ‘90, è l’infezione cronica da virus B, anch’esso trasmissibile con il sangue infetto o per via sessuale. Secondo il rapporto dell’OMS, nel 2015 nel mondo vi erano ancora 257 milioni di persone che vivevano con un’infezione cronica da virus B, molti dei quali bambini che vivono nei paesi in via di sviluppo dove hanno contratto il virus dalla madre. Un dato drammatico se pensiamo che questo virus è la causa della quasi totalità dei casi di tumore del fegato nei bambini (epatocarcinoma). In Italia, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, negli anni ottanta erano 2 milioni i portatori cronici di virus B ma, dopo l’introduzione dell’obbligo vaccinale per tutti i nuovi nati nel 1991 e l’adozione di norme igienico sanitarie più “stringenti”, si è assistito ad un drastico calo dei casi, che oggi ammontano a circa 500-600 000 (la maggior parte dei quali ultracinquantenni e quindi non vaccinati). La tossicodipendenza e la via sessuale rimangono due tra i principali comportamenti a rischio. Purtroppo, le terapie a disposizione non sono altrettanto efficaci nell’eradicazione dell’infezione rispetto all’epatite C, anche se molto utili nel contenerne “i danni”. L’arma principale contro questo virus rimane il vaccino che, per la possibilità di prevenire i casi di epatocarcinoma legati all’infezione, è considerato il primo vaccino “antitumorale” della storia.
Meno conosciuta ma in forte aumento nei paesi industrializzati è la cirrosi causata da steatoepatite non alcolica (NASH), un’infiammazione del fegato dovuta all’ accumulo di grasso all’interno delle sue cellule. Con il tempo questa infiammazione diventa cronica, porta ad una fibrosi e ad un sovvertimento della struttura del fegato, fino ad arrivare alla vera e propria cirrosi. E’ generalmente presente in pazienti che hanno altri problemi metabolici come obesità o diabete di tipo II ed è correlata ad una alimentazione scorretta con eccesso di calorie, grassi, zuccheri e carente di frutta e verdura, nonché alla sedentarietà ed altre abitudini di vita scorrette. In Italia, la patologia è in crescita anche se, per ora, sembra essere la causa “soltanto” del 7,3 % dei casi di cirrosi. Tuttavia, il fenomeno è preoccupante sia perché scarsamente sconosciuto sia per quello che sta accadendo in altre parti del mondo industrializzato, come negli USA, dove è diventata la seconda causa di trapianto di fegato. Un recente studio ha inoltre evidenziato che la malattia da fegato grasso non alcolica può predisporre allo sviluppo di epatocarcinoma anche in assenza di cirrosi.
Nonostante i casi totali di cirrosi epatica nel nostro paese rimangano molto numerosi, fortunatamente la mortalità (numero di morti per 100. 000 abitanti) per questa patologia in Italia è costantemente diminuita dal 1980 al 2012 (dati ISTAT). Questo il risultato sia del controllo e della cura delle cause di cirrosi, come il consumo di alcolici e l’epatite cronica B e C, ma anche di una migliore comprensione e capacità di trattamento della patologia cirrotica e delle sue temibili complicanze come l’encefalopatia epatica, l’ascite (accumulo di liquido nella cavità addominale che a sua volta si può infettare dando una peritonite batterica spontanea) o il sanguinamento gastrointestinale da varici esofagee. Anche l’insorgenza di epatocarcinoma (HCC) può essere considerata una “complicanza” della cirrosi epatica, che costituisce il substrato ideale per il suo sviluppo. Negli ultimi due decenni anche i progressi nella chirurgia dei trapianti hanno aumentato significativamente la probabilità di sopravvivenza dei pazienti che giungono agli stadi più avanzati della malattia o che sviluppano HCC.
Tra le complicanze di maggiore impatto sulla qualità di vita di malati e familiari vi è l’encefalopatia epatica, una compromissione delle funzionineurologiche e cognitive dovuta all’incapacità del fegato cirrotico di “processare” sostanze tossiche per il sistema nervoso centrale che gli arrivano in gran parte dall’intestino, come l’ammonio. Queste sostanze sono prodotte principalmente da batteri intestinali a partire dalle proteine. Per tale motivo è fondamentale per chi soffre di cirrosi mantenere una buona “igiene intestinale” favorendo un transito efficiente ed “incoraggiando” i batteri utili normalmente presenti nel nostro intestino a discapito di quelli potenzialmente dannosi. Una forma, più o meno conclamata, di encefalopatia epatica può essere presente nel 70% delle persone affette da cirrosi. Riconoscere questa complicanza fin dalle sue fasi iniziali, quando possono esservi anche solo lievi problemi di concentrazione o di memoria, è importante sia per prevenire una evoluzione in forme più gravi sia perché anche in questa fase l’encefalopatia epatica può peggiorare significativamente la qualità di vita dei pazienti e dei familiari. Spesso sono proprio i familiari i primi ad accorgersi che “c’è qualcosa che non va” come alterazioni del carattere o del ritmo sonno veglia (il paziente dorme di giorno e sta sveglio di notte). Sono disturbi che, oltre ad essere gravosi sul piano personale e familiare, possono portare ad una perdita di produttività e di giornate lavorative che non riguarda solo il malato. Nelle fasi più avanzate della malattia, infatti, le alterazioni neurologiche come la confusione, il disorientamento o le difficoltà nel movimento, possono rendere necessaria un’assistenza continuativa da parte di un caregiver (colui, familiare o “badante”, che si prende cura di una persona con malattia cronica) mettendo in crisi le famiglie sia sul piano psicologico che economico.
L’importanza del caregiver, e le sue difficoltà nell’affrontare un ruolo per il quale non è formato e che può facilmente portare a “burn-out”, è stata sottolineata in un convegno tenutosi a Roma nel Dicembre 2019 dal titolo “La realtà Italiana della cirrosi epatica tra terapia ed impatto socioeconomico” che ha visto la partecipazione anche dell’Associazione di pazienti EpaC (www.epac.it).“Con l’encefalopatia epatica perdi il controllo di te stesso e qui è importante che ci sia una rete di persone intorno che ti aiutino”- ha spiegato Ivan Gardini, ex-paziente e presidente dell’ Associazione durante il convegno-“i caregiver a loro volta, se non sono aiutati dagli infermieri e dalla struttura ospedaliera posso cedere quando si trovano vicino una persona che improvvisamente, da un giorno all’altro, cambia completamente”. Questo lo scopo del progetto dell’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 centro e dell’ASL 3 Liguria che, prime in Italia, hanno avviato una vera e propria scuola per caregivers. Questa “rete” di assistenza al malato è di fondamentale importanza, oltre che per il supporto nella gestione quotidiana, anche per aiutare il caregiver a valutare la necessità di un ricovero ospedaliero, indispensabile negli episodi più severi quando l’encefalopatia può portare anche al coma epatico. Questi episodi sono generalmente provocati da gravi condizioni cliniche sottostanti come un’infezione, un sanguinamento gastrointestinale (spesso da varici esofagee) o uno stato di disidratazione. Purtroppo, secondo i dati forniti da uno studio italiano, la mortalità intraospedaliera rimane molto elevata interessando circa un paziente su cinque ricoverato per encefalopatia epatica. Chi ha avuto una prima ospedalizzazione per encefalopatia epatica ha poi una probabilità del 42,5 % di essere nuovamente ricoverato nell’anno successivo per lo stesso motivo con ingenti costi anche in termini economici per il Sistema Sanitario Nazionale. Un recente studio del CEI dell’Università Tor Vergata di Roma ha calcolato che la spesa annua media per paziente cirrotico dovuta alla sola ospedalizzazione per encefalopatia epatica è di 11000 euro. Oltre 200 milioni di euro all’anno se si considera tutto il territorio nazionale. Per evitare l’ospedalizzazione ed in particolare la ri-ospedalizzazione è fondamentale l’aderenza alla terapia. Anche in questo caso è evidente l’importanza del caregiver per un paziente che spesso è confuso e ha problemi di memoria.
Tuttavia, nella fase iniziale “sub-clinica” anche la sola dieta può avere un ruolo importante nel far regredire la sintomatologia come dimostrato da un recente studio pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology. La dieta, consigliata dalle linee guida EASL (European Association for the Study of Liver), si basa non solo su an adeguato consumo di frutta e verdura ma anche sul mantenimento di un corretto apporto proteico (1.2-1,5 gr/kg di proteine al giorno) principalmente da fonti vegetali o da latticini. Non è comunque da demonizzare neanche il consumo di carne, come invece veniva fatto fino ad alcuni anni fa, in quanto si è visto che il mantenimento della massa muscolare è un obbiettivo primario nel paziente affetto da cirrosi, anche per la prevenzione dell’encefalopatia epatica, in quanto proprio nel muscolo l’ammonio viene trasformato in sostanze non dannose.
Secondo le linee guida EASL, dopo aver rimosso le cause scatenanti, per trattare l’episodio acuto di encefalopatia epatica e per prevenire nuovi episodi è necessario mantenere l’intestino “pulito” tramite “lassativi osmotici” come il lattulosio che oltre a garantire un corretto transito intestinale (deve essere “calibrato” in modo da garantire 2-3 evacuazioni di feci morbide al giorno), favorisce anche il popolamento del miocrobiota intestinale da parte dei batteri “buoni”. In chi non tollera il lattulosio o se questo non dovesse essere sufficiente, è indicato l’utilizzo di un antibiotico, la rifaximina, che non viene assorbito, agisce quindi localmente nell’ intestino sui batteri “indesiderati” riducendo la produzione di sostanze tossiche. Secondo uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine la terapia con rifaximina (generalmente in aggiunta al lattulosio) porterebbe ad una riduzione del 50% degli episodi e delle ospedalizzazioni per encefalopatia epatica in chi ha già avuto una prima manifestazione della malattia, con un risparmio stimato di 723 milioni di dollari all’anno negli USA.
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